I disturbi alimentari nello sport: bulimia, anoressia e binge eating.

Vi sono molteplici potenziali insidie sulla strada del risultato sportivo. Nella ricerca dell’eccellenza, gli atleti corrono dei rischi. Molti di questi sono ben calcolati e gestiti, ma ciò nonostante restano all’orizzonte. Dagli anni ’80 è divenuta evidente la possibilità di sviluppare un disturbo alimentare, tanto che tale rischio è stato aggiunto tra quelli da affrontare e gestire in ambito sportivo. Gli atleti che sviluppano un disturbo del comportamento alimentare tendono ad avere carriere più brevi caratterizzate da incostanza e ricorrenti infortuni.

Chi è a maggior rischio?

Gli sport possono essere suddivisi in categorie in base a vari criteri. Tortsveit e Sundgot-Borgen (2005) hanno proposto una distinzione tra sport “leanness” e “non leanness”, sulla base dell’essenzialità o meno del requisito della magrezza ai fini del successo sportivo. All’interno di questa seconda categoria (leanness sport) si può effettuare un’ulteriore suddivisione in base alle modalità con cui vengono assegnati punteggi e posizioni in classifica. Ciò può infatti avvenire con una mera rilevazione strumentale ed oggettiva della prestazione (tempo cronometrato, metri, distanza percorsa ecc..) o tramite la valutazione inevitabilmente soggettiva di una giuria. Gli sport “leanness” possono quindi essere suddivisi a loro volta in “judged” e “non judged”.

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Motivazione e Sport: Oltre la teoria.

Elemento cruciale della pratica sportiva risulta essere la motivazione.

In assenza di motivazioni è difficile che i soggetti si avvicinino all’attività sportiva o mantengano il loro impegno costante nello sport. Cosa muove alla scelta di uno sport, cosa spinge a decidere di fare sport, cosa promuove la costanza negli allenamenti e lo sforzo nell’attività fisica? La motivazione influisce sulla scelta delle attività praticate (come il grado di difficoltà, o livello degli avversari con cui gareggiare), sull’impegno messo per raggiungere gli obiettivi (frequenza ed intensità degli allenamenti), e sulla resistenza di fronte ai fallimenti e alle difficoltà.

Per motivazione si intende la spinta ad agire, a mettere in atto comportamenti orientati ad uno scopo. Il concetto di motivazione sembra essere costituito da due componenti: la direzione e l’intensità. Per direzione si intende la meta verso cui si dirige l’azione. Cosa ci attrae, cosa ricerchiamo, cosa ci stimola: fare sport, vincere, giocare, divertirci, far parte di un gruppo, tenerci in forma... o cos’altro? L’intensità si riferisce invece a quanto sforzo ed impegno ci si mette nell’intraprendere e portare avanti un determinato scopo, azione, comportamento, pensiero.

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Psicologia dello sport: il ruolo delle Attribuzioni.

Le attribuzioni possono essere considerate come sinonimo di spiegazione: attraverso il processo di attribuzione si tentano di definire le cause degli eventi e dei comportamenti umani.

Fornire una spiegazione del manifestarsi di alcune condizioni consente alle persone di fronteggiare situazioni simili nel futuro (se so cosa scatena un determinato fenomeno, sarò in grado di anticipare la sua comparsa, o quanto meno sarò pronto ad attivare le risorse necessarie a superarlo), consentendo in questo modo di sviluppare il controllo sull’ambiente (ricordiamo che l’autodeterminazione, la capacità di scegliere e indirizzare il proprio futuro, è un bisogno fondamentale dell’essere umano!).

Il processo di attribuzione può essere considerato come un processo dinamico e circolare, dove le attribuzioni influenzano le risposte (comportamenti ed atteggiamenti emessi dall’individuo), che a loro volta influenzano le valutazioni future sull’ambiente e ancora ulteriori risposte soggettive. Un’attribuzione errata può quindi generare diverse conseguenze negative.

Nel contesto agonistico, gli atleti cercano continuamente di fornire spiegazioni delle loro e altrui prestazioni sportive. In particolare sono concentrati e focalizzati sulle attribuzioni del fallimento piuttosto che del successo, questo perché solitamente si ricercano le cause di eventi negativi o inaspettati.

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Controllare e gestire le emozioni nello sport.

 Lo sport è un’esperienza carica di emozioni. Una vittoria importante può scatenare gioia e felicità così come una pesante sconfitta può portare tristezza e delusione. Lo stato emotivo dell’atleta può incidere sull’esito della competizione, influenzando la sua prestazione durante l’allenamento e in gara.

Secondo la definizione formulata da Deci (1980) l’emozione è una reazione ad uno stimolo (reale o immaginato, pensiero), che comporta modificazioni a livello fisiologico (interno e della muscolatura). L’emozione viene sperimentata in modo soggettivo e personale, può essere comunicata attraverso vari canali come espressioni facciali e tendenze all’azione, ed è in grado di mediare ed attivare i successivi comportamenti.

L’emozione diventa quindi sinonimo di risposta: la varietà di stimoli capace di innescare una reazione emotiva è molto ampia: si può parlare di stimoli ambientali esterni (percepibili attraverso i canali sensoriali: visivi, uditivi, olfattivi ecc..) o stimoli interni (pensieri, sensazioni viscerali, o per esempio il battito cardiaco).

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La tecnica del SELF TALK in ambito sportivo

Ciascuno di noi è più o meno consapevole di mettere in atto un dialogo “interno” con se stesso durante la giornata. Si tratta di una modalità riflessiva che può fortemente influenzare il modo in cui andremo ad agire. Uno dei principi della psicologia cognitivo-comportamentale postula infatti che ciò che le persone si dicono (e quindi pensano) è in grado di condizionare il successivo modo di comportarsi.

In ambito sportivo, i pensieri che spuntano alla mente possono influenzare positivamente o negativamente la prestazione. E’ quindi opportuno tenere sotto controllo e monitorare il dialogo che l’atleta si rivolge. I pensieri negativi sono disfunzionali, ovvero compromettono l’esito e il raggiungimento degli obiettivi, abbassano la soglia dell’attenzione, aumentano la focalizzazione su stimoli distraenti o irrilevanti, possono provocare un’alterazione dell’umore e indurre confusione.

L’uso del dialogo interno, conosciuto come tecnica del Self Talk, per controllare ed organizzare le cognizioni degli atleti è stato perciò proposto come elemento chiave per una prestazione di successo; per questo risulta frequentemente incluso nei training di preparazione mentale psicologica.

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Psicologia dello Sport e Mental Training

La psicologia dello sport è una disciplina abbastanza recente che si occupa degli aspetti psicologici, psicofisiologici, sociali e pedagogici legati all’attività sportiva.

Sebbene le sue origini siano rintracciabili alla fine dell’Ottocento, la sua diffusione risale soltanto agli ultimi 40 anni. Il primo vero esperimento in questo ambito può essere datato 1898, quando Norman Triplett decise di analizzare gli effetti della presenza di altri concorrenti (cioè la condizione di agonismo) sulla prestazione ciclistica. Tuttavia la data ufficiale che sigla la nascita della psicologia dello sport è quella del 1965, anno di fondazione dell’International Society of Sport Psychology a Roma, che diede avvio a varie ricerche focalizzate sul miglioramento della performance, sulla personalità e sulla motivazione degli atleti. 

La psicologia dello sport ha trovato terreno favorevole per il suo sviluppo principalmente negli USA e nell’Europa del Nord, dove gli studi hanno abbracciato anche la dimensione cognitiva dello sportivo, andando ad interessarsi di emozioni, pensieri positivi, abilità relazionali, coesione di squadra, leadership.

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In panchina con le cuffie: il ruolo della Musica nello Sport

La musica ha la capacità di catturare l’attenzione, cambiare o regolare l’umore, generare emozioni, evocare ricordi, ridurre le inibizioni, e incoraggiare il movimento. E’ facile intuire come tutto ciò possa rivelarsi particolarmente utile per la pratica sportiva. Gli effetti benefici della musica sulla prestazione atletica sono stati ampiamente dimostrati nel corso degli anni.

La teoria e le ipotesi scientifiche in quest’ambito, sviluppate soprattutto dal team di ricerca londinese del dott. Karageorghis, sembrano fondarsi su 4 fattori.

Un primo elemento è costituito dalla risposta al ritmo, ossia dalla naturale propensione del nostro corpo a muoversi e adattare i gesti al ritmo musicale (specialmente al tempo, o velocità). Un secondo fattore è associato alla musicalità, che si riferisce all’armonia del suono, alla combinazione delle note e alla melodia. L’impatto culturale riveste la terza componente e riguarda la diffusione di un particolare genere musicale nella società o in un sottogruppo etnico. Infine si trova il fattore delle associazioni extra musicali che vengono evocate dall’ascolto (ricordi, aspettative).

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Dott.ssa Chiara Francesconi

chiarafrancesconi.psico@gmail.com

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Riferimenti terapeutici

Schema Therapy, Teoria dell'Attaccamento, Circle of Security, Mindfulness, Alleanza Terapeutica, Psicoeducazione.

Autori: J.Young, J.Bowlby, Jon Kabat Zinn, G. Liotti, Aaron Beck & Albert Ellis

Dott.ssa Chiara Francesconi - Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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