La tendenza a procrastinare: perché fare oggi quello che posso fare domani?

 Procrastinare: l’atto di rimandare inutilmente e irrazionalmente (senza una buona ragione o reale necessità) compiti o attività, fino al punto da sperimentare un disagio soggettivo (interiore), è un problema assai noto.

Procrastiniamo quando ritardiamo l’inizio o il completamento di un corso d’azione che si aveva intenzione di intraprendere. Il fatto di sottolineare che l’azione era intenzionale (cioè era ben presente l’idea di fare tale cosa) è particolarmente utile per distinguere tale comportamento dalla pura “indecisione”, cioè difficoltà di scelta di azione.

 

In maniera simile, è buon cosa evidenziare che tale comportamento viene definito “irrazionale”: in altre parole, si sceglie di agire in tal modo (ritardando) nonostante si sia piuttosto consapevoli che tale scelta non massimizzerà la resa futura e i nostri interessi, né avrà ripercussioni sul miglioramento dello stato d’animo (“ricerca della felicità”).

Quindi procrastinare può essere ridefinito come il “ritardare volontariamente il corso di un’azione già pianificata e prevista, nonostante ci si aspetti che il ritardo peggiori le cose."

Ellis e Knaus (1977) stimano che dall’80 al 95% degli studenti universitari sia “vittima” di procrastinazione. E’ evidente che la procrastinazione comporti prestazione accademiche peggiori, se non interruzione del corso di studi, e che la tendenza a procrastinare aumenti sempre più durante gli anni di studi. La procrastinazione è dannosa anche su altri livelli: al piano economico,  ad esempio, una mancanza del comportamento di risparmio può essere presa come una sorta di procrastinazione nell’iniziare a mettere da parte qualcosa per il futuro. A livello lavorativo, la procrastinazione si manifesta nel rimandare costantemente parte del lavoro fino alla scadenza.

I procrastinatori inoltre possono essere considerati persone non responsabili o sciocche, non degne di fiducia.

Perché rimandiamo?

Le origini e cause di tale atteggiamento possono essere di molteplice natura.

Da una parte è necessario considerare le caratteristiche del compito/attività e le percezioni che si hanno nei loro riguardi. Più un’attività appare spiacevole, poco stimolante e gradevole più è probabile che si verifichi una procrastinazione. Allo stesso modo, anche il tempo che deve trascorrere prima di ottenere remunerazione/profitto dallo svolgimento di tale compito/attività influenza la sua dilazione: più la ricompensa è a lungo termine/distanziata, lontana nel tempo, più si tende a rimandare.

Vi sono poi vari aspetti cognitivi da tenere in considerazione, ossia pensieri e credenze che ruotano attorno a tali compiti/attività. Tra questi i più comuni riguardano diversi stati d’ansia dovuti a:

  • la sensazione che siano fuori dal proprio controllo o capacità, quindi sensazione di scarsa autoefficacia, fiducia in sè e bassa autostima,

  • timore di affrontare un futuro fallimento o dal gestire l’eventuale successo (per cui la procrastinazione assume la connotazione di auto-sabotaggio, vedere articolo sull'autosabotaggio per saperne di più)

Anche alcune differenze individuali, a livello temperamentale e biologico sembrano influenzare l’adesione a tale atteggiamento. Tra di esse:

  • La scarsa apertura all’esperienza e adattabilità

  • Impulsività e facile distraibilità

  • Difficoltà nel prendere decisioni

  • Ribellione contro il controllo e le regole imposte

  • Tendenze perfezioniste

Per alcuni ricercatori (Costa e McCrea) la procrastinazione potrebbe essere considerata un tratto di personalità. Essa sembra infatti avere delle caratteristiche “opposte” al tratto della coscienziosità, individuato da tali autori nel loro modello dei 5 fattori di personalità (1992). Questo grande fattore include aspetti di autodisciplina, controllo degli impulsi, persistenza, orientamento al raggiungimento dei risultati, affidabilità, moralità. Bassi punteggi in tale fattore potrebbero rispecchiare una personalità tendente alla procrastinazione.

Le valutazioni della procrastinazione si sono focalizzate quasi esclusivamente sulla rilevazione delle abitudini di studio o organizzazione del lavoro, come i minuti dediti all’apprendimento e l’atteggiamento verso il lavoro. Tuttavia, come sopra esposto, la procrastinazione coinvolge molto più che una semplice difficoltà nella gestione del tempo o nelle abilità di studio e lavoro. Tant’è che sembra espandersi anche ad aree esterne l’ambito lavorativo/accademico.

Tenendo a mente che la procrastinazione non è soltanto una carenza di abilità organizzative, è possibile progettare interventi e trattamenti cognitivo comportamentali più mirati e personalizzati, indagando la complessa interazione di componenti comportamentali, cognitive ed emotive presenti in ogni singoli individuo.

Ad esempio, per i “rimandatari” che ripotano pensieri ansiogeni e visioni di sé fallimentari, le strategie di intervento volte alla gestione dell’ansia, del perfezionismo e della bassa autostima dovrebbero essere più appropriate. Per coloro che rimandano il compito causa percepita avversività (sgradevolezza) dello stesso, una procedura di gestione delle contingenze potrebbe rivelarsi un’essenziale aspetto del trattamento.

 

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Dott.ssa Chiara Francesconi

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Riferimenti terapeutici

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Autori: J.Young, J.Bowlby, Jon Kabat Zinn, G. Liotti, Aaron Beck & Albert Ellis

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