Pessimismo difensivo o autosabotaggio.

 Entrambi ritenuti meccanismi di protezione per l’autostima, riescono poi a far bene il loro lavoro? O sono più i danni collaterali che provocano? Conosciamoli meglio!

Il pessimismo difensivo è una strategia cognitiva, ossia un insieme di modi di pensare e agire, per cui si fissano le aspettative a livelli eccessivamente bassi e si è portati al pensiero del peggior esito possibile (anche se in passato si è affrontata bene la stessa situazione).

Qualora si presenti il fallimento, il fatto di aver già “messo in conto” questa possibilità, non dovrebbe provocare un calo di autostima nel soggetto. Sembra inoltre che i pessimisti difensivi sfruttino l’ansia del potenziale fallimento, per sforzarsi maggiormente nel tentativo di far bene. Come dire, dopo aver pensato a come può andare a finire la situazione, sono più motivati ed insieme anche rilassati (dal fatto che date le premesse fatte, gli altri non si aspetteranno nulla) che riescono a concentrarsi meglio nel compito, e spesso anche a riuscire bene. Il pessimismo difensivo si associa ad un forte desiderio di successo misto ad una terribile paura del fallimento.

Sebbene nel breve periodo, questa strategia produca dei frutti, le conseguenze di tali comportamenti nel lungo termine sembrano portare a una peggior soddisfazione di vita (a causa dei traguardi bassi che ci si prefigge di raggiungere),  cali nelle prestazioni, sentimenti di impotenza e preoccupazione crescenti.

Anche l’autosabotaggio è una strategia messa in atto per difendere la propria autostima da un possibile fallimento. In questo caso il soggetto tende a creare egli stesso un ostacolo, un impedimento al successo, e una volta verificatosi il (probabile!) fallimento, è pronto ad attribuire la colpa a quell’impedimento, piuttosto che a sue mancanze e abilità personali.

Esempi di autosabotaggio possono andare da semplici procrastinazioni e rinvii, all’impiego di scarse forze e concentrazione, alla scelta di circostanze ostili che possono chiaramente inficiare sui risultati, fino ad arrivare all’assunzione di sostanze ed alcoolici. In tutti questi casi, dopo la scarsa prestazione, il soggetto avrà la “scusa pronta”: ero distratto, non mi sono impegnato abbastanza, era troppo freddo, c’era poco tempo, c’era troppo rumore, non ero in forma, ecc… Tutti “validi” motivi che spostano l’attenzione da caratteristiche personali interne, verso l’impedimento oggettivo ed esterno. Sebbene la mancanza di impegno o sforzo sia considerato un attributo interno, proprio dell’individuo, egli accetterà di utilizzare questa scusa, ritenuta facilmente modificabile, piuttosto che ammettere scarsa abilità, forza o intelligenza. Ovviamente l’autosabotaggio ha un rischio maggiore di compromettere l’esito di una prestazione, e l’individuo può andare incontro a diverse conseguenze negative sia nel breve che nel lungo periodo.

Si è notato che mentre i pessimisti difensivi sono continuamente in bilico tra la voglia di riuscire bene (motivazione al successo) e la paura di fallire, i soggetti portati all’autosabotaggio tendono a dare molta più importanza all’evitamento del fallimento, che alla voglia di successo.

Può sembrare contraddittorio che la paura del fallimento porti alla ricerca del fallimento! Ma bisogna tener presente il fallimento di cui si parla! L’individuo teme di mettere in pericolo la sua autostima, il suo valore globale, e questo va preservato, anche a discapito di perdere considerazione  in singoli compiti.

I soggetti che ricorrono a questi meccanismi di difesa, sono soggetti portati alla competizione, alla riuscita sugli altri, e poco orientati alla competenza, all’acquisizione di abilità per propria soddisfazione e per la crescita personale. Sono soggetti spesso insicuri, che hanno bisogno di conferme esterne e di paragoni con gli altri per ottenere riconoscimento del proprio valore.

Varie ricerche hanno dimostrato che la tendenza ad evitare il fallimento deriva in buona parte dal temperamento innato dell’individuo, dalla sua componente biologica. Tuttavia ciò non significa che non sia possibile lavorare per migliorare le idee rispetto all’evitamento delle situazioni e alla possibilità di fallimento, arrivando ad una sua accettazione e ad un incremento dell’autostima ed autoefficacia personali. 

 

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Dott.ssa Chiara Francesconi

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